
Perché guardiamo ancora le televendite di Orlando
“Qui a Telemarket è tutto bello, tutto meraviglioso, ma anche profondamente inutile, se vogliamo”
(Alessandro Orlando)
Nella sezione Décadrage del nostro sito ospitiamo interventi su materie che stanno al confine, se non fuori, le nostre aree di interesse principali: il cinema, le serie, il teatro. Accingendomi a scrivere di Alessandro Orlando non posso che notare come nelle sue gesta televisive ci siano molto cinema, molta serialità e molto, tanto teatro. Orlando, con le sue televendite storiche mandate in onda da Telemarket, è personaggio obliquo, attraversa i media, le forme e i modelli, è, in qualche modo, dispensatore di expertise che trascende il mercato dell’arte e sfocia sempre più consapevolmente nella recitazione, in quella teatralità tipicamente italiana che ancora oggi si traduce in strumento economico, in capacità sempre viva di mercanteggiare, affabulare e trasformare il piombo in oro. Bene, ma non siamo qui a tessere le lodi di Orlando, bensì a registrare e analizzare un fatto incontrovertibile: quei programmi che andavano in onda su reti secondarie a orari improponibili sono diventati oggi intrattenimento per le masse, in un fenomenale revisionismo che solo un pubblico come quello di YouTube avrebbe potuto innescare.

Se nell’ultimo anno le storiche televendite di Orlando sono tornate alla ribalta, tutto ha però inizio probabilmente nel 2012, data del caricamento su YouTube di Orlando Show – La leggenda del tappeto imperiale fatto dal figlio del sole per il sultano di Persia. Un nome un programma, la risposta titolistica italiana a film come I predatori dell’Arca perduta e All’inseguimento della pietra verde. Solo che il protagonista è un televenditore, probabilmente il migliore in circolazione, membro di un mucchio selvaggio formato da professionisti del calibro di Paolo Frattini, Marco Vinetti e Franco Boni, quest’ultimo chiara ispirazione per il mitico critico d’arte di Teleproboscide interpretato da Corrado Guzzanti negli studi de L’ottavo nano, con la complicità di Serena Dandini. Dunque, una permeabilità tra emittenti che era già evidente vent’anni fa, quando Orlando era da quattro anni a Telemarket e gli ascolti della rete facevano registrare numeri fuori dalla norma.

Un fenomeno di passaggio quello delle televendite d’arte sui canali secondari, puro meccanismo di vendita destinato all’oblio. E invece no, nel 2021 guardiamo ancora le televendite di Orlando, una tendenza che merita riflessione anche e soprattutto perché innescata da un pubblico mediamente giovane, che riesuma ricordi d’infanzia o scopre per la prima volta un mondo parallelo un tempo frequentatissimo. Una doppia origine che molto ci può dire sui meccanismi della nostalgia e della pubblicità contemporanea. Perché se da una parte il processo di recupero è chiarissimo, in un revival che ha dapprima coinvolto nei media contemporanei gli anni Settanta-Ottanta e ora comincia a coinvolgere i Novanta-Duemila grazie a una generazione che poco a poco acquista più peso nella società, dall’altra pare esservi una reazione al sistema mediatico-pubblicitario contemporaneo. Teorie, le mie, sia chiaro, che in quanto critiche si prendono la libertà di sganciarsi da criteri di esattezza per provare a dare senso a un fenomeno numericamente quantificabile (le visualizzazioni su YouTube e la miriade di fan club di Orlando sono alla luce del sole).

Per quanto riguarda la nostalgia, la soluzione è facile: in assenza di smartphone e con una società digitale diffusa ancora di là da venire, la televisione era al centro dell’intrattenimento casalingo, in particolare le televendite erano show a sé, dallo chef Tony che vende i Miracle Blade Serie III Perfetta fino a Telemarket, un flusso di volti e voci familiari che mandavano in bambola anche per ore i rampolli dell’italica nazione. L’invenzione geniale, dice lo stesso Orlando, è “il format sull’arte di vendere l’arte”, perché, aggiunge, “la gente compra me, non compra quello che vendo”. Quindi il presentatore come prodotto, l’attore, la performance, se vogliamo, come tramite all’acquisto. Quasi si assistesse ad uno spettacolo a offerta libera, che a seconda della bravura del performer può generare o meno un acquisto “sulla fiducia”. Operazione sostanzialmente duchampiana, questa, in cui la vita e l’azione dell’uomo assurgono a livello di opera d’arte.

Qui la grande differenza con la vendita oggi: se la televisione ha perso di centralità e il tempo dedicato alla pubblicità equivale ai pochi secondi permessi dal digitale, ecco che i nuovi protagonisti diventano i reparti marketing di grandi e piccole aziende. Da ogni parte il plauso è per gli anonimi social media manager ora di Unieuro, ora di Taffo Funerals. Un ulteriore passo di distanziamento dal rapporto umano uno a uno col venditore, che era la forza di personaggi come Alessandro Orlando. E forse questi fenomeni di recupero nascono anche da lì, per uscire dal marasma delle stories di Instagram e rivivere un intrattenimento vero che con Orlando ha raggiunto il suo picco nell’epoca di Telemarket, e che oggi rinasce sui social anche grazie a quelle generazioni che scoprono solo ora di essersi perse un’epoca leggendaria della TV. Ma da dove viene tutto questo successo?

Lo “Stile Orlando”
Circa il mestiere di televenditore, è lo stesso Orlando a parlare di teatralità durante l’intervista rilasciata a Radio 24 lo scorso luglio. L’intuizione è tutta nella creazione di un personaggio, con un carattere, un modo di comunicare e un certo rapporto col pubblico. Una televendita di Orlando a Telemarket è fatta di pause significative, di frasi poetiche, di aforismi per mercanti d’arte, di captatio, di cleuasmi. Un rapporto franco, fatto di onestà intellettuale e modestia, in cui il presentatore si pone spesso come difensore del compratore, come amico fidato in perenne lotta coi dirigenti. Su questo Orlando ha costruito il suo successo, i retroscena di Telemarket sono di per sé una docuserie irresistibile, dagli allontanamenti e ritorni del presentatore fino alle inchieste e i brindisi di mezzanotte a Capodanno, negli studi di Telemarket.

Un mondo strano e variegato in cui la voce profonda del presentatore toscano tuona ora per esaltazione estatica ora per rimprovero verso chi (non) compra o chi gravita attorno al mondo Telemarket, tra un “levez” e altre espressioni francesi snocciolate con la nonchalance di un viveur navigato, capace addirittura di sfoderare la erre moscia a comando. Una delle teorie più in voga nelle sezioni commenti di YouTube – tra le cose più belle che i video di Orlando abbiano generato – è che Luca Ward sia doppiato da Orlando, e non viceversa. Per lui molti hanno prospettato una carriera da attore o da doppiatore, ma niente, Orlando “sente l’Arte”, vuole rimanere in quel mondo ed è in quel mondo che tutt’oggi continua la sua attività, stavolta in proprio, con maggiore pace interiore rispetto a un tempo.
In quello show nello show che era il rapporto di amore-odio tra Orlando e Telemarket, proprio il momento del distacco dall’azienda fondata da Giorgio Corbelli è un trauma per Orlando e per il suo pubblico, la fine di un’era.
In questo video la commozione arriva al culmine dopo più di 15 anni a fare tardi tra i tappeti impolverati e le tele affastellate contro i muri un tempo ricoperti dalla celeberrima moquette grigia. L’addio allo show è quello delle grandi personalità televisive, qualcosa à la David Letterman. Un distacco da quel sottofondo ASMR di telefoni che squillano – come sul set di The Office -, un addio ai tappeti russi Bukhara “che da settant’anni non si intrecciano più”, un saluto al sultano Fershid, mai esistito, immaginato da Orlando per vendere meglio il celebre tappeto keyshon del figlio del sole. Attore, ma anche scrittore, uno Jules Verne, un Emilio Salgari dei giorni nostri. Un commiato dai tanti cavalli di battaglia, Schifano, Faccincani, i 44 passaggi di colore, i multipli tirati a 99 esemplari. Quest’ultimi protagonisti di una delle performance migliori di Orlando, che proprio nell’ultimo anno è stata riscoperta dal pubblico di internet grazie ad alcune pagine social fondate sul trash italiano. Una nuova scintilla, insomma.
Fuori tutto
L’epopea di Orlando è fondata su un’Italia che non c’è più, meno tecnologica, meno globalizzata, che ha conosciuto il piacere dell’acquisto in diretta, dell’azzardo che poteva rivelarsi un grosso affare o una grossa delusione. Un Paese che sapeva sognare, a volte fino a rovinarsi, e che fondava i propri acquisti basandosi su rapporti umani, di fiducia. Ma anche un’audience che guardava per il solo piacere di guardare, senza la minima intenzione di acquistare, perché lo spettacolo non era nell’oggetto ma nel tramite e nella storia che questo sapeva inventarsi. Non sorprende che la fine arte narrativa di Orlando conquisti anche le nuove generazioni, in effetti meno abituate alla parola, drogate di quelle immagini che saturano il mondo, trasformandolo in un’immensa vetrina degna di Orwell e Carpenter. Sembra che a un certo punto ogni generazione cerchi di tornare sui propri passi e ritrovare le proprie salde radici in un mondo che va velocissimo, insomma una nostalgia quasi arcadica in cui Orlando e soci rientrano in qualità di aedi preposti alla vendita di oggetti che puntano ad elevare il genere umano. Non più la pentola a pressione di Mondial Casa, ma la statuina di Rabarama, la serigrafia di Schifano.
La nostalgia del fuori tutto cui si accede oggi per caso, magari attraverso un video rilanciato da pagine trash, ma che in molte persone fa nascere un desiderio di ulteriori visioni, proprio come collezionisti che passino in rivista centinaia di pietruzze scalcagnate in cerca dell’unico gioiello raro del lotto. Dal 1997 a oggi non siamo cambiati, per dirla con Boris: Italia, un paese di fuori tutto, mentre fuori c’è la morte.
Orlando oggi
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Bellissima analisi del fenomeno Orlando e di tutto quello che attorno a lui ha gravitato per tanti anni.
Forse l’articolo che più di tutti riesce a spiegare questa strana nostalgia che tutti ci accomuna sotto questo grande artista.
[…] copertina: Alessandro Orlando, Televenditore sulla defunta […]