
Do Revenge – Mean (and vengeful) Girls
La vendetta è un piatto che va servito a colpi di glitter.
Lo dimostra Do Revenge, la teen comedy scritta e diretta da Jennifer Kaytin Robinson, che prosegue il sodalizio con Netflix dopo l’uscita di Someone Great (2019), nel quale la protagonista affronta la fine di una storia d’amore decennale, supportata dalle sue amiche e dalle follie di una nottata newyorkese che consolida ancor di più il loro legame.
In Do Revenge, è il motivo della vendetta a unire (o a disunire?) la determinata Drea (Camila Mendes) e l’outsider Eleanor (Maya Hawke), entrambe animate dal desiderio di prendersi una rivincita dai loro carnefici: la prima, all’apice della popolarità nel colorato e patinato liceo Rosehill, è vittima del revenge porn perpetrato dal fidanzato Max, che non subisce alcuna conseguenza; la seconda vuole vendicarsi di chi l’ha accusata ingiustamente di essere la sua predatrice.
Il piano è dunque aiutarsi a vicenda, infiltrandosi nelle reciproche vite con la volontà di smascherare e esporre l’ipocrisia degli studenti e delle studentesse della scuola.

Questa commedia dark è cosciente dei suoi predecessori – come Clueless, Mai stata baciata, Kiss Me – da cui riprende alcuni stereotipi. Da un lato li asseconda, con la divisione dei liceali in gruppi – resa più attuale (nelle categorizzazioni) – o le feste in ville stratosferiche; dall’altro, li stravolge, ad esempio nel makeover, tappa obbligatoria del filone nell’arco di trasformazione della protagonista femminile, tra tagli di capelli e cambi di stile.
Questo remix metanarrativo di tropi e temi del teen movie anni ’90/2000 riguarda anche elementi extradiegetici del film, come i font retró che scandiscono il passaggio delle stagioni, e soprattutto l’uso della musica, che alterna Olivia Rodrigo e Billie Eilish a Fatboy Slim.

Inoltre, c’è un vero passaggio di testimone, da una generazione di icone teen all’altra, rappresentato dalla preside interpretata da Sarah Michelle Gellar, la celebre protagonista di Buffy l’ammazzavampiri, figura severa, ma al contempo consigliera e alleata, che sprona le sue studentesse a migliorarsi e a godersi i giovani anni.
Ma se esiste un’ispirazione per la rappresentazione delle protagoniste agguerrite, grintose e in cerca di vendetta è senz’altro Mean Girls, di cui, per certi versi, Do Revenge è una versione 2.0: come Regina George e Cady, Drea e Eleanor sono spietate e non si fermano davanti a nulla, perseguendo il loro obiettivo anche ai danni di persone innocenti.
È il caso della diffusione dei messaggi privati di Max, che ricorda la stampa e la dispersione dei fogli del burn book di Regina George, il quaderno che custodisce i commenti dissacranti e pieni di odio della ragazza nei confronti delle sue compagne di liceo.

Vendette in formato digitale e analogico ma con una matrice comune: la tendenza a sbandierare fatti, fake news e a disseminare odio gratuito, in un’epoca in cui le notizie, reali o false, viaggiano molto più velocemente di qualsiasi verità e buon senso. D’altronde, in Do Revenge viene ribadito più volte il concetto di performance che sottende l’idea di apparire e di comportarsi in un modo imposto dal ruolo che si è deciso di ricoprire: è il caso di Drea, che deve omologarsi allo status sociale del gruppo di amiche ricche, nonostante provenga da una famiglia modesta e porti avanti l’etica del Do It Yourself, perché il suo obiettivo è essere ammessa a Yale.

Do Revenge però non è solo citazioni, cultura pop e strizzate d’occhio; è, sì, un teen movie ascrivibile al genere, ma ha la potenza di inserirsi in modo naturale e puntuale nel dibattito contemporaneo inerente alla lotta contro il patriarcato, includendo i temi dell’inclusività, della diffusione non consensuale di materiale intimo, questioni che col Me Too hanno incoraggiato un maggiore ascolto nei confronti delle vittime, anche se, come ci insegna il film di Robinson, la strada è ancora lunga.
Stabilite queste coordinate e aggiornato il vocabolario con nuovi termini, l’acume di Do Revenge risiede nella capacità di giocare con queste espressioni, di rovesciarle o, ancora, di smascherare i falsi alleati, come Max, definito da Drea il manic pixie dream boy che rende magica e a suo piacimento la vita di chi gli gravita attorno, o le finte battaglie inclusive, come il pretesto della non monogamia etica per giustificare il tradimento.
Esistono dunque una nuova sensibilità e dei valori imprescindibili ormai necessari in qualsiasi narrazione, specie quella sui personaggi femminili; tutto ciò può essere accompagnato dall’irriverenza, dalla scorrettezza e dall’ironia con cui viene raccontata la storia di autodeterminazione di Drea e Eleanor che, come cantano sulle note di Meredith Brooks, sono bitches, ma anche amanti, sante, peccatrici e molto altro.
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