Paul Thomas Anderson – Una vita alla ricerca della perfezione
Nato il 26 giugno 1970 a Studio City, un quartiere di Los Angeles, Paul Thomas Anderson cresce nella terra di Hollywood, in quella stessa San Fernando Valley che fa da sfondo al suo terzo lungometraggio, Magnolia (1999). Figlio del doppiatore e personaggio radio-televisivo Ernie Anderson, questo enfant prodige del cinema hollywoodiano – dopo aver abbandonato il college e la scuola di cinema – approda sul grande schermo nel 1996 con il suo primo lungometraggio: Hard eight – Sydney, realizzato a partire dal precedente cortometraggio Cigarettes and coffee (1993). Appassionato di cinema e video-making fin dalla giovane età, PTA eredita la vena artistica dal padre (è Ernie Anderson nel 1982 a comprare al figlio una videocamera Betamax).
Nel 1988 un Paul Thomas Anderson appena diciottenne realizza il primo film: un cortometraggio dal titolo The Dirk Diggler Story, mockumentary sulle vicende di una fittizia star dell’industria porno-cinematografica americana degli anni settanta. Otto anni dopo lo stesso soggetto viene ripreso e sviluppato nel film Boogie Nights – L’altra Hollywood (1997), grazie al quale il regista autodidatta ottiene la sua prima consacrazione a livello internazionale.
Agli esordi l’autore natio di Studio City viene descritto dalla critica come “l’Altman del futuro” o “il nuovo Scorsese”. Il cinema andersoniano degli inizi infatti assorbe le atmosfere delle storie corali di Robert Altman e i movimenti di macchina sinuosi di Martin Scorsese. Un cinema caratterizzato dalla centralità della colonna sonora e dall’uso del piano sequenza.
Dedito anche alla realizzazione di video-clip musicali, l’artista collabora di frequente con la pianista Fiona Apple, la cantautrice Aimee Mann e il chitarrista solista dei Radiohead Johnny Greenwood. E spesso questi sodalizi artistici proseguono anche nei film.
In una visione maggiormente sincretica, il cinema di PTA ricorda quello di autori come Orson Welles e Stanley Kubrick, con cui il regista di Los Angeles condivide la predilezione per progetti accuratamente studiati e meditati a lungo, maniacalmente curati con certosina attenzione. Opere bigger than life che similmente a quelle wellesiane e kubrickiane si rivelano in grado di creare universi estetico-narrativi a sé stanti. Il regista californiano, innegabilmente, si dimostra al contempo erede ossequioso e interprete innovativo del grande cinema americano: un cinema possente, epico, che rincorre ossessivamente il grande spettacolo e lo stupore dello spettatore. I film di PTA aspirano a veicolare riflessioni socio-psicologiche e storico-culturali più ampie delle singole narrazioni. Universi topici, al limite dell’esasperazione; allegorie e metafore di un mondo occidentale che si fa riflesso delle contraddizioni dell’uomo moderno e contemporaneo.
Amore, destino, relazioni umane, rapporti di forza, dinamiche emotivo-familiari: Paul Thomas Anderson, alla maniera di Kubrick – non solo per simmetrie e atmosfere –, diviene un ossessivo studioso dell’essere umano, vittima e fautore del proprio fato. Ogni opera si connota attraverso i suoi stessi personaggi, sempre approfonditamente caratterizzati e indagati. Come Welles, l’autore californiano è profondamente affascinato dai protagonisti grandiosi e malvagi (in primis quelli interpretati da Daniel Day-Lewis in There will be blood – Il petroliere e Phantom thread – Il filo nascosto). Pur componendo una filmografia che può certo apparire eterogenea, PTA mostra costantemente la capacità di generare (e riscrivere) immaginari tanto originali quanto rispettosamente e apprezzabilmente citazionistici.
I suoi film rivelano l’animo profondo di un regista dotto e autoreferenziale, legato alle collaborazioni durature e affezionato agli interpreti dei suoi personaggi (come non citare il sodalizio con il compianto Philip Seymour Hoffman). «Regista per vocazione e autodidatta compulsivo della storia del cinema, Paul Thomas Anderson riesce a sintetizzare nelle sue opere fuori dagli schemi l’inclinazione autoriale e le lezioni dei grandi maestri di riferimento», da Hitchcock a Truffaut. [Marco Donati]
Punch-drunk Love (2002) e le declinazioni dell’amore, Il petroliere come canto definitivo della nascita di una nazione, The Master (2012) e la libera reinterpretazione della vita del fondatore di Scientology, Inherent vice – Vizio di forma (2014) come riscrittura del giallo randomico: dopo otto nomination agli Oscar in circa vent’anni di carriera e molteplici riconoscimenti nei più importanti festival cinematografici internazionali (Berlinale, Mostra del Cinema di Venezia e Festival di Cannes compresi), PTA si conferma come uno degli autori più rilevanti e interessanti dell’attuale panorama cinematografico internazionale. Un regista la cui ossessiva fascinazione per la perfezione lo ha condotto a raggiungerla realmente. Nonostante la perfezione forse non esista – citando Magnolia –, «But it did happen!».
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